venerdì, giugno 16, 2006

Il vino buono va condiviso con gli amici ... INTERVISTA A MAGNUS (1984)


IL SOGNATORE IN BIANCO E NERO

di Giorgio Franzaroli

Chi dispensa cultura nelle varie forme, che siano film, libri, musica e tutto il resto che ci accompagna durante l’esistenza, rendendola piacevole, ci pare immortale, o almeno inesauribile. Dieci anni fa moriva Magnus, all’anagrafe Roberto Raviola, bolognese: uno dei più grandi disegnatori di fumetti di tutti i tempi. Chi sta scrivendo non ha remore a restringere il campo e definirlo in assoluto uno dei più grandi artisti italiani del 900. Non in virtù del fatto che il fumetto è già stato sdoganato da tempo e definito “nona arte” da nomi illustri, ma perchè le tavole di Magnus sono ormai icone che rappresentano il periodo che sta a cavallo fra gli anni '60 e '70. Come i film di Fellini, le canzoni di Luigi Tenco, le manifestazioni di piazza e l’eskimo. I fumetti “neri” con la “K” hanno albergato nelle camerette degli adolescenti di allora, e subito dopo sono stati ereditati da quelli della mia generazione, gli ormai quarantenni di adesso. Kriminal e Satanik furono personaggi epocali, che facevano il verso a Diabolik, ma che vissero in completa autonomia di stile, sviluppando, all’interno di intrecci truculenti, una vena grottesca irrepetibile, frutto di una simbiosi fra il disegnatore Magnus-Raviola e lo sceneggiatore Bunker-Secchi. Max Bunker (ovvero Luciano Secchi) arrivò all’apice della sua vena satirica con Alan Ford. E Magnus, dopo averlo disegnato, fu per sempre, per i profani, “quello di Alan Ford”. Disegnava centinaia di tavole al mese, e il metodo di riempire gli spazi con ampi chiaroscuri per velocizzare i tempi di consegna, divenne il suo stile imprescindibile. I suoi disegni in bianco e nero sono entrati nell’immaginario collettivo di almeno 2 generazioni. Qui è giusto ricordare i nomi di due fra i collaboratori che valorizzarono le matite di Magnus inchiostrandole egragiamente: Giovanni Romanini e Paolo Chiarini, anche loro di Bologna. Nel momento di maggiore successo di Alan Ford, la ditta Magnus & Bunker si scioglie.
Magnus diventa autore “per adulti”, e crea “Lo Sconosciuto”, un mercenario che si muove in Libano, in Sud America, e in altre zone storicamente difficili. A editarlo fu Renzo Barbieri, altro pioniere dell’epoca che creò un piccolo impero editoriale con i tascabili erotici. Magnus si rivela già un autore completo e le sue creazioni successive diventano dei classici riconosciuti anche all’estero, forse più che in Italia. La sua coerenza creativa è sempre ad alti livelli, che si tratti di un fumetto porno-splatter come “Necron”, o di un capolavoro assoluto tratto da un’antica novella cinese come “Le 110 pillole”. Con “L’uomo che uccise il Che” affronta l’approfondimento storico, e con la sua interpretazione di Tex Willer ritorna al fumetto “popolare”.
Il suo Tex uscì postumo, poco dopo la sua morte. Sfogliandolo, non si può non pensare con grande amarezza allo sforzo immenso che deve avere fatto per concludere l’opera. Nel 1984 Bologna era la capitale del fumetto: gli autori italiani che che disegnavano per “Frigidaire” e “Linus” abitavano quasi tutti qui, un nome per tutti è quello di Andrea Pazienza.

In quel periodo Magnus abitava ancora in Via Toscana, ed essendo il suo nome sull’elenco del telefono, lo chiamai chiedendogli di accordarmi un’intervista, da pubblicare su una fanzine che si chiamava “Nuvola Bianca”, edita a Ferrara da Stefano Trentini, con cui collaboravo in veste di “corrispondente da Bologna”. La prospettiva di un incontro con il mio disegnatore preferito mi faceva tremare le gambe, dal momento che all’epoca avevo 16 anni, e prevedevo anche che un nome così illustre non avesse tempo da perdere coi “fanzinari”. Invece Magnus mi diede appuntamento a casa sua. Ci andai accompagnato dallo stesso Stefano Trentini, che a quei tempi era spesso a Bologna, immerso nei gangli della burocrazia editoriale, e da Alberto Rapisarda, compagno di corso alla scuola di fumetto“‘Zio Feininger”. Era estate, credo Luglio. Ci aprì la porta Magnus in sandaletti, completamente rasato a zero, confermando la leggenda che aleggiava su di lui: Bob Rock e Magnus erano la stessa persona. Passai il pomeriggio nel suo studio schiarendomi la voce, afona per l’emozione, a furia di caramelle alla menta. Magnus parlava a ruota libera, le sue risposte nobilitavano anche le domande più banali. Quella che segue è solo una parte dell’intervista.
Il resto giace incomprensibile nella cassetta che usai all’epoca per registrare la conversazione, impossibile da sbobinare. Le domande sono frutto anche degli interventi di Stefano e Alberto, grandi appassionati di Magnus, e ora entrambi prefessionisti del settore. Il disegno che correda l'intervista fu eseguito da Magnus quel pomeriggio.

D
: Ormai è tantissimo tempo che lei disegna fumetti, e anche se continua a rinnovarsi, non le viene il dubbio di non andare al passo coi tempi?

R
: Io spero di continuare a rinnovare il mio modo di fare fumetti, ma non per mia ambizione, lo sento come un dovere nei confronti di chi mi legge; finchè mi si presenteranno nuove aperture sarà un mio dovere affrontarle. Credo che sia così anche per i miei colleghi. Per quanto mi riguarda, io credo di essere abbastanza attuale, almeno io vado al passo coi miei tempi. Io devo continuare il mio giro di pista, quindi posso rapportarmi con me stesso, non con quello che mi gira in torno.

D
: Della Nuova scuola Italiana come i “Valvoline” (n.d.r. : Igor Tuveri, Giorgio Carpinteri, Marcello Jori, Lorenzo Mattotti, Daniele Brolli, Jerry Kramsky) cosa ne pensa?

R
: Io ne penso benissimo. Loro sono nati autonomi. Autonomi nel senso che non puoi citare con facilità dei criteri con cui sono partiti. Adesso hanno una tenuta tale che non hanno delle cadute di tono. Si vede cioè la coerenza di uno stile. Ci sono però varie scalibrature, non come vicenda.
Una vicenda normale con il loro segno è già nuova. Loro indeboliscono la narrazione portante cercando di forzare la storia liberando molte immagini, ma è più difficoltoso seguirli. Pure c’è abbondanza di testi. Ma questo è troppo rischioso perchè il lettore si stanca di leggere tanto. Oppure non scrivono nulla e il lettore non è contento perchè la storia gli è scivolata via troppo in fretta. Lo stare a contemplare delle immagini senza sapere il senso di queste immagini è troppo per il lettore. Non si possono fare degli ermetismi. Lo fanno per paura di essere banali, mentre invece sul banale ci cresce molta roba.

D
: Però ultimamente ha collaborato con “Frigidaire” con una storia come “Socrate’s count down”, completamente diversa dal Magnus che tutti conoscono.

R
: Perchè collaborando con Frigidaire mi sono identificato con Socrate che beve la cicuta. A parte gli scherzi, avevo l’occasione di realizzare questo progetto. Essendomi letto questo
fatto, ho visto che il narratore era di una bravura eccezionale per la precisione con cui descrive. Io ho pensato che si poteva anche disegnare. Il problema non era il testo, infatti ne ho tirato via parecchio. Platone non aveva bisogno delle figure. Il problema era come rappresentare questi antichi Greci. Allora io ho fatto come delle statue di gesso, quindi l’inserimento dell’orologio elettronico per creare un certo contrasto. Poi mi hanno criticato i singhiozzi. Io non volevo fuggire dal fumetto e quei “sigh! sigh!” confermavano la mia scelta.

D
: Da cosa dipende secondo lei la qualità di una storia a fumetti?

R
: Da molti fattori: ad esempio ho fatto dei disegni in cui tutta la compressione che avevo nella storia precedente è scomparsa. Ti sto parlando de “L’uomo che uccise il Che”. Questa storia mi ha preso talmente nel disegno che ero preoccupatissimo. Dovevo creare una storia lunghissima, uniforme, uguale dall’inizio alla fine; è stato un grosso vantaggio in seguito: ho fatto delle figure femminili, e tutto quel peso che si era venuto a creare con “L’uomo che uccise il Che”, mi è venuto poi a facilitare le cose, mi ha dato più sicurezza nel segno.

D
: Molti pensano che con “Necron” lei ha fatto un regalo alla pornografia, mischiandola al grottesco.

R
: In Francia sta avendo molto successo, hanno riso molto. Il merito comunque va alla scrittrice dei testi, che ha una vena comica molto producente. Diciamo che volevo fare qualcosa della “nuova scuola”, ma sul piano del repellente. Poi sono scivolato sul buffo, e la scrittrice ha colto la palla al balzo, e ha scritto un sacco di situazioni buffe. Poi c’é stata la novità della linea chiara. Credevo che in questo modo avrei potuto cavarmela con maggiore rapidità, mentre invece non ti consente di mettere niente in ombra. Quindi ti devi frullare il personaggio da tutte le parti per non metterlo in ombra. La linea chiara comporta uno stile, un segno molto preciso. Non decidi subito le macchie e i neri. Qui mi sono trovato d’accordo con i Francesi. Non ho voluto rubare qualcosa, semplicemente mi sono trovato temporaneamente d’accordo con il loro modo di fare fumetti. Adesso tornerò al pennellino, ma lo farò apposta per fare un fumetto vecchio stile, una storia salgariana, e la disegnerò come non è mai stata disegnata. Ai tempi in cui andavano le storie salgariane, non c’era il sangue e il delitto come lo vediamo noi, nè tantomeno il sesso. Quindi riprendendo quel filone di avventure di avventure e facendo una storia riformulata ai giorni nostri, trovi un altro tipo di avventura. Guarda ad esempio “I predatori dell’arca perduta”. La trama è quella di un film degli anni 40. Tu guarda le singole situazioni e scopri che non è così.

D
: Come mai un amore così profondo per i paesi orientali?

R
: Perché sono più civili. L’amore per i paesi orientali è in un certo senso l’altra faccia di un certo odio per i paesi occidentali. C’è della convenienza a imitarli, sotto certi punti di vista, è anche vero che gli orientali hanno bisogno del rigore occidentale, diciamo che gli sarà utile.

D
: Della vena comica di Max Bunker è rimasto qualcosa nel Magnus di oggi?

R
: Oddio, ormai non più, vari trucchi sono stati assimilati, ma proprio non posso più sentire le influenze di Bunker, anche perchè faccio un tipo diverso da quello, che esige quel tipo di situazioni. Quello che disegno è anche il frutto di altri scritti. Ti rimando a “L’uomo che uccise il Che”. Lì l’arte dello sceneggiatore conta poco: in pratica è un distillato di documentazione e scritti dove l’unica cosa essenziale è la capacità di unirli logicamente, oltre poi a disegnarli.

D
: Lei ha smesso di disegnare ALAN FORD proprio nel momento in cui aveva più successo. Non le sono venuti dei rimorsi?

R
: Certo, comunque devi capire che settantacinque numeri tirati uno dietro l’altro non sono uno scherzo. Poi mi hanno fatto compagnia delle altre situazioni che all’epoca me l’hanno fatto dimenticare. “La Compagnia della forca” era una di queste. I compiti erano poi divisi fra me e Romanini, che a un certo punto era sconvolto perchè io non ero molto puntuale con le matite, e anche perchè io non ero molto convinto. Ma sono andato avanti lo stesso con quella storia terribile che è stata definita angosciante. Nel giro di quattro-cinque numeri si è capito subito, appunto perchè era il periodo in cui l’ombra di Alan Ford gravava ancora sulle spalle. Venivano da me dei ragazzi e mi dicevano di smetterla, e di tornare a disegnare Alan Ford. Io non pensavo di privarvi di un amore così grande!

D
: Quando disegnava noir e comico nello stesso tempo non si sentiva un po’ disorientato a cambiare sempre stile?

R
: Mha! Io mi sono sempre divertito: Raviola aveva certe idee, però Magnus faceva altri fumetti. Fino a quando Magnus ha rifiutato Roberto Raviola e ha raggiunto una totalità di carattere sul fumetto: è una questione di professionismo.

D
: Lei è un disegnatore metodico che lavora a orari stabiliti, oppure è uno di quelli che si alza di notte a disegnare perchè le è venuta l’ispirazione?

R
: Faccio delle gran dormite! Per mia fortuna dormo di sasso. Se dovessi pensare ai fumetti anche di notte ... Io ci vivo dentro già tutto il giorno! Poi faccio dei sogni, si, ma non a fumetti.

D
: A colori o in bianco e nero?

R: In bianco e nero! Magnus sogna solo in bianco e nero.

2 commenti:

Abald ha detto...

Mi ero dimenticato che TUTTO quello che riguarda i fumetti - e molto altro - nel mio cervello è merito di Magnus. Dove il bianco è bianco e il nero è nero.

@lberto ha detto...

Di quel giorno ricordo che vi furono le presentazioni tra il sottoscritto & Stefano Trentini (un personaggio!).
Magnus invece l'avevo conosciuto qualche mese addietro: un paio di persone dell'organizzazione della scuola (cioé, gente ARCI) mi invitarono nello studio di Vittorio Giardino, dove si doveva definire a grandi linee un possibile ruolo per i due già affermatissimi autori (Magnus e Giardino) nei futuri piani didattici dello ZIO.
In quella prima occasione feci una discreta impressione al Raviola, perché conoscevo titolo ed autore IN CINESE del libro dal quale il Maestro aveva tratto il suo fumetto "I Briganti" ...
Così Magnus, all'intervista '84, subito mi disse "hey! ciao, ci siamo visti nello studio di Giardino..."
Trentini rimuginò per tutta l'ora bella e buona che durò l'incontro, ma quando uscimmo non potè più trattenersi: "tuuuu? lavori nello studio di Giardino?"
Be' non era così...
Con Trentini mantenemmo tutti ottimi rapporti - Franzaroli, Carubbi, altri -, e si potrebbe dire che la sua rivista "Nuvola Bianca" fu il primo sbocco semi-professionale, per i giovincelli di Zio Feininger.

by Rapi