venerdì, agosto 25, 2006

ho conosciuto Andrea Pazienza !

di Roberto Carubbi



La prima volta che sentii parlare di Andrea Pazienza, fu solo all'inizio di estate del 1982. Con Teresa, un'amica di Fontanelice, diplomata all'artistico di Bologna, e con la quale si progettava qualcosa di fantastico (... mai partorito), ci recammo a Faenza a bordo della mia Mini 1000 blu, a casa di un grande illustratore: Cesare Reggiani. Reggiani, quella sera su nel suo attico cittadino, dopo averci mostrato delle sue incredibili tavole illustrate ad aerografo, tra le quali alcune pubblicate su Playboy France, ci parlò di Andrea Pazienza: “Conoscete Pazienza?” ci chiese... “é il più grande che conosca... guardate” (più o meno disse così). Ci mostrò delle sue tavole da alcuni numeri del Male e Frigidaire; in particolare si soffermò su una in bianco e nero dove era raffigurata un'orgia; una fusione di corpi nudi, “sinuosi” e intrecciati tra loro. Forse sarà stato il fatto che già ero stato colpito in modo impressionante dalla mano “mostruosa” di Reggiani che in fondo a Pazienza non feci poi caso più di tanto. Poi lo conobbi… Pazienza! Era la fine di ottobre o l'inizio di novembre del 1983; mi ero iscritto al corso di fumetto “Zio Feininger” a Bologna, che era presieduto dai giovani maestri dell'avanguardia Bolognese, l'underground metropolitano di allora. Loro, i fondatori di “Valvoline” erano Daniele Brolli, Giorgio Carpinteri, Marcello Jori, Lorenzo Mattotti, Igort Tuveri, ai quali era aggiunto Andrea Pazienza, che con “Valvoline” non aveva proprio niente da spartire; né i suoi fumetti con i suoi personaggi, né la sua personalità, che pareva, nella vita, essere rimasta quella di un ragazzone che si barcamenava in un mondo ormai fuori moda, e che raccontava spesso storie di eroina e delinquenza. Mentre gli altri maestri davano l’impressione di essere un po’ più distanti dai loro allievi, (anche se poi con tutti si usciva alla sera, dopo il corso, a finire la giornata, in qualche osteria), Pazienza, contraddittoriamente a quanto affermava in “Pompeo” circa i suoi allievi di corso, che apostrofava come “sfigati”, ne era in fondo il più amico e il più coinvolto. Tutti stravedevamo per lui e per il suo talento, le donne gli andavano fin sotto casa a tutte le ore, e lui egocentrico e spavaldo, godeva a bestia per tutto ciò. A differenza degli altri, di cui dubito fosse grande amico, Pazienza, “condiva” solo i suoi fumetti di quegli intellettualismi che gli erano propri, mentre nella vita si aveva l’impressione di aver a che fare con un essere molto più “terra terra” spesso lunatico e molto poco virtuoso. Di sicuro, cambiò la vita di alcuni, quel corso di sei o sette mesi secchi (dove nessuno conseguì l’attestato o il mezzo diploma promesso all’inizio, come da contratto… ma poi mai dato!… ma era l’ARCI di allora). Di tre sezioni, però effettivamente solo una si affermò poi al grande pubblico e divenne famosa: Francesca Ghermandi, che era in classe con me, Rapi e Baldaz e che ricordo graziosa nei suoi occhi e lunghi capelli castani e nella sua tuta di jeans. Talvolta allo “Zio Feininger” erano invitati altri autori conosciuti, come Magnus, Ugo Bertotti o Silvio Cadelo. A pensarci, a più di vent’anni di distanza, davvero non mi rendevo conto di tutto quel materiale umano e artistico a disposizione, a quei personaggi poi “mitizzati” dalle future generazioni. Igort, finì a lavorare in Giappone, Jori passò alla pittura affermandosi sempre più, Mattotti andò a Parigi dove vive tutt’ora e dove è considerato uno dei più grandi illustratori del mondo, Pazienza invece per colpa dei suoi vizi, morì nel 1988 facendo la fine del suo amico Tamburini e di tutti quei miti del rock, del cinema e della letteratura vissuti a cavallo dei '60 e '70, di cui i suoi personaggi parevano i fratelli minori. Pur raccontando storie di provincia, anche Pazienza riuscì a pubblicare all’estero; adesso non vi è una sua mostra che non sia presa d’assalto quotidianamente. Mostre in cui sono esposte, un po’ scolorite, quelle tavole che a volte noi avevamo la fortuna di scoprire in anteprima dalle mani dell’autore. Vedere disegnare Paz era un vero “knock out”: lui che arrivava sempre in ritardo, quando arrivava, e che talvolta mandava a cagare qualcuno per nulla, si trasformava quando prendeva in mano un gessetto ed iniziava a riempire la vecchia lavagna nera delle scuole Aldini. Di solito, nel mutismo estasiato della classe, Paz creava dal nulla, volti e corpi che si materializzavano in pochi secondi, dalle ombre nette e sicure che ne davano un grande spessore ed una grande profondità. Era uno spettacolo anche il modo in cui spiegava il come o il perché, in una maniera comprensibile e poco tecnica. Spiegava per esempio, o meglio si raccomandava, di utilizzare sempre lo stesso foglio anche nel caso si fosse sporcato o rovinato, e continuare la traccia iniziata con la matita. Invitava a farsi furbi, come ad esempio rimediare ad un errore utilizzando etichette adesive o coprire parzialmente con qualche cos’altro, ciò che a volte non ne ha voglia di riuscire bene! Ad esempio… non veniva un piede? Non era un problema, lo si poteva un po’ nascondere magari con un sasso in primo piano! A me personalmente e caratterialmente stava anche un po’ nel cazzo. Le storie che raccontava e l’atteggiamento altezzoso e arrogante che assumeva a volte in aula, mi ricordava quei ragazzi più grandi di me, del mio paese ai tempi dell’infanzia, ignoranti come pochi, e solo il caso ha voluto non mi abbiano mai menato o tirato giù le mutande davanti alle bambine curiose. A qualcuno capitava, in un mare di vergogna! Io Paz, lo vedevo un po’ come lo vedeva Mattotti: un eroinomane nostalgico, fuori dal tempo. Nel 1984, i tossici avevano già rotto il cazzo, nonostante fosse ancora in auge il farsi delle pere e anzi, tanti fra le mie conoscenze cominciavano. Erano ragazzi e ragazze più piccoli di me di quattro o cinque anni, che non temevano né epatiti né aids.

Ricordo benissimo, una sera dopo il corso, in una osteria di Bologna, Mattotti che parlava di Pazienza; pur senza cattiveria lo trovava ripetitivo, come incapace di crescere e forse anche un po’ patetico, senza accennare al suo talento che gli riconosceva senza problemi. Loro due erano i due mostri sacri del corso, i più venerati e gli unici forse che non avessero nulla da dirsi. Ricordo Brolli con il quale non avevo un gran rapporto: lo vedevo intellettuale e chiuso nelle sue giacche e pantaloni scuri. Era difficile da capire quando spiegava, e lui stesso non si sforzava molto per apparire diverso; ma forse era di carattere così, chiuso ed educato. Igort, che mi fece conoscere e piacere “Kid Creole and the Coconuts” aveva una cresta che sembrava tenuta su dalla gelatina; si vestiva Dark e girava, senza patente, su una Honda Four 400 rossa della fine degli anni '70. Tra noi vi era stata anche una flebile forma di amicizia; dispensava consigli, complimenti, critiche e qualche volta anche maligne prese per il culo. Ricordo che faceva inchiostrare le sue tavole agli allievi e a me sembrava così strano…! Una volta a casa sua mi consigliò di leggermi tutti i volumi di una biblioteca, così da maturare! A parte ciò, apprezzava la mia mano; mi riconosceva un’abilità nel movimento e un giorno mi dedicò anche un disegno, su di un tovagliolo da osteria in cui aveva scritto: a Carubbi, a cui non devo insegnare niente del movimento. Forse era lui l’unico, del gruppo Valvoline, vero estimatore e un po’ amico di Pazienza. Al contrario Jori, da un po’ di tempo, amico di Paz non lo era più tanto… per il fatto che stava con Elisabetta, la sua ex, e per la quale Paz soffriva tremendamente. Non avevo una grande simpatia per Jori, non lo vedevo sincero perché non ti diceva le cose in faccia, anche se era bravissimo ad usare le ecoline. Una volta fui ospite, assieme agli altri, a casa sua a Bologna; la sua donna, la Elisabetta che tanti conoscevano di fama, non si fece mai vedere. Girava per le stanze aprendo e chiudendo le porte, come per dire: non ho voglia di vedervi, ma voi siete pur sempre in casa mia… Io quell’Elisabetta non l’ho mai vista… a parte una caviglia e un polpaccio, spariti in fretta in un corridoio. Giorgio Carpinteri invece era molto simpatico, molto alla mano e molto geniale; tra tutti, dopo Paz, era quello che mi piaceva di più, il più “Valvoline” di tutti, membro di quella corrente contemporanea che spazzava via tutto il bel fumetto classico. In Valvoline primeggiava più, nei disegni, la concettualità avanguardista che non la bellezza del segno, era importante, il disegno, farlo apparire, più che farlo bene. Ma Carpinteri, che non sopportava il jazz, aveva anche una gran mano ed ebbe molto successo; gli furono commissionate scenografie dalla Rai, poi sparì… sono vent’anni che non vedo più in giro nulla di lui… purtroppo! Di Mattotti, ricordo le tavole a pastello ad olio, di ‘Fuochi’, che durante la lavorazione, ci portava in visione con buona disponibilità. Erano tavole coloratissime, dall’impronta espressionista ma anche cubista, etniche e tribali, coinvolgenti e severe, adatte ad un pubblico colto e competente e non ad un cannonaro e acerbo giovinastro come me…! Fu uno spettacolo insomma che io non potei godermi completamente; eppure, quando gli mostrai le tavole di “Molly Break”, la mia piccola negretta che viveva ad Harlem con una zia bianca e che correva irrequieta di notte tra i grattacieli illuminati della città, ebbe un sussulto; gli piacque al punto una mia vignetta, che mi disse: “è bellissima! Sembra quella di un professionista”… detto da lui…! E una mia vignetta piacque anche al grande Paz, che in una storia pubblicata su un Alter Alter del febbraio 1985, riprese parzialmente, riportando in una sala cinematografica, che nel fumetto ospitava Zanardi, Colas e Petrilli, alcune paia di occhi, tra i quali, un paio più chiari, emergere dall’oscurità! Fu una piccola cosa, per carità, ma un grande onore! Del resto questa vignetta, era parte di un fumetto che cominciai con lui e che finii da solo. Prima della pausa natalizia, Paz tra i vari compiti delle vacanze, ne diede uno a tutti, particolare: finire una storia che lui aveva solo cominciato in una sola tavola, pubblicata nel 1983 sull’albo “Perché Pippo sembra uno sballato?”. Questa opera mai finita, che lui aveva chiamato “Acido”, era quella di uno che, smaronandosi, nel suo appartamento, trova un acido nel frigo…; io fui l’unico a terminare quella storia, che nonostante una sua promessa, non fu mai pubblicata!... ma era il mio primo fumetto, dal segno ancora acerbo e dalla tecnica improvvisata. Tra quelli della mia sezione, ero l’unico a cimentarmi nel “grottesco”, un genere demente dove Paz eccelleva alla grande. Ogni tanto sorrideva quando gli facevo scivolare sotto al naso i miei personaggi nasuti, con la tuta del Bologna o si divertiva, come quella volta che gli esibii il disegno di un aereo ben cazzuto pronto al decollo. Avrei di sicuro voluto conquistarne la stima anche solo con i miei personaggi che a lui piacevano e che assomigliavano ai suoi! Al corso ogni tanto, si presentava con qualche suo amico “speciale” di quelli appena “pescati” nella drogheria del quartiere; ad una lezione, ce ne presentò due, capelloni e imbruniti che se ne stettero tutta la sera seduti nei banchi davanti e che non rivolsero mai la parola a nessuno, solo aspettarono che Paz finisse per andarsene con lui. Un’altra volta un’allieva, mora poco graziosa ma con due gran tette, ebbe un mezzo malore perché lui non la cagava… le chiavava tutte ma non lei. Un’altra volta ancora, un tipo di Reggio Emilia, introverso e strano, si alzò durante la lezione e se ne andò senza salutare, né lui né noi! Non l’avesse mai fatto; comportarsi così con Pazienza era sinonimo di non aver capito un cazzo di lui, che prese la palla al balzo. Con uno scatto felino lasciò la cattedra, lo inseguì, lo bloccò nel corridoio e lo attaccò al muro dandogli dello stronzo. Questo impaurito cercò di spiegargli che era così di carattere e che doveva prendere il treno. “Ok” gli disse “levati dalle palle!”. Pazienza poteva anche stare nel cazzo ma era anche uno che, se preso in buona, dava tutto e raccontava tutto di sé senza problemi. Non si negava mai a nessuno, e in tutti i posti dove metteva piede lo vedevi sempre con dei pantone o dei pennarelli in mano, disegnare per qualcuno; in tanti oggi abbiamo un piccolo originale di Paz che oltretutto vale anche qualcosa... in tutti i sensi. Con lui non vi erano vie di mezzo, o valevi o non valevi un cazzo! Una sera al corso, Daniele Trombetti, mio futuro amico e grande illustratore di Imola nonostante i suoi soli 19 anni, si avvicinò a Paz e in un modo un po’ ruffianesco e pauroso gli chiese: “emmmh… Andrea ti posso far vedere delle tavole?” Paz disse “ok” e quando s’allontanò si burlò di lui imitandone la vocina e facendogli il verso: “ehh… ti posso far vedere delle tavole?… sfigato!” ma cambiò espressione quando Trombetti gli mostrò le sue tavole; si fece serio e attento ed esclamò: “sei veramente bravo… fatti pagare!”. Tuttavia non lo vidi molto stressato a quella lezione di primavera del 1984. La sera prima la RAIUNO aveva mandato in onda uno special sul nuovo emergente fumetto d’avanguardia, dove lui e Liberatore primeggiarono alla grande. Il giorno dopo lui arrivò, sulla sua Alfa 33 grigia metallizzata in orario, gasato e carico come una molla a ricevere i giusti onori che si devono a un mito; era tirato a manetta, in jeans, giacca, cravatta e occhialini scuri. Era talmente preso dall’euforia generale che a fatica rispose ad una mia battutina che fu: “cazzo ti ho visto ieri… zioboia!… cioccavi da morto!”. Di risposta ebbi un: “si eh?” e si lasciò andare all’abbraccio collettivo di tutte le donne. Il suo problema con l’eroina, emergeva più fuori che non al corso. Quelle volte che si era, dopo le lezioni, a bere da qualche parte, mentre tutto procedeva bene, a lui spesso capitava che cambiasse espressione… improvvisamente, sentisse un gran freddo venirgli su (anche se era estate) e dopo pochi minuti sparisse; non diceva dove andava, ma non era difficile immaginarselo! L’ultima volta che l’incontrai fu all’inizio dell’estate del 1984 nella “famosa” piazza di Cesena dove l’assessorato alla cultura aveva pensato con molto acume e apparente intelligenza (…i dipinti furono ritrovati molti anni dopo, a pezzi, in una discarica….)di invitare i nuovi fumettari italiani a dipingere sui pannelli di legno che ricoprivano una grande fontana e i suoi dintorni, in via di restauro. Intervennero oltre a Paz anche Bertotti, Carpinteri e noi allievi a dare una mano. Io arrivai di mattina sulle dieci sulla mia Honda Enduro 500xl; incontrai Rapi e Baldaz prima di arrampicarmi su di un’impalcatura dove Paz stava cominciando un enorme Zanardi a cavallo che si abbeverava da un tritone. Ci fu un abbraccio tra noi, anche perché era del tempo che non ci si incontrava; mi chiese invano se avevo da fare una “cannetta”… io notai delle cicatrici nel fianco, gli chiesi cos’erano… “bottigliate” mi rispose fiero! Poi per non deluderlo andai a cercare del fumo, senza trovarlo. A mezzogiorno in un ristorante messo a disposizione dall’assessorato, ci ritrovammo, oltre a mangiare (Paz non sopportava sentir masticare o sgranocchiare… penso me lo abbia detto un sacco di volte), di nuovo a disegnare tutti insieme nel libro per gli ospiti. Un cameriere stupido, riprese Paz che era in ciabatte, invitandolo ad uscire e tornare con un paio di scarpe, cosa che lui fece, incredibilmente, senza batter ciglio; solo si lasciò andare a un “spirito di disapprovazione”. Lo stesso cameriere stupido, dopo avermi elogiato, vedendomi disegnare e osservando all’opera anche Pazienza, esordì stavolta così: “hey c’è uno più bravo di te” “grazie al cazzo! idiota!!”… pensai. Il giorno dopo, eravamo di nuovo tutti nella piazza a “lavorare” quando improvvisamente sbucò da chissà dove un gruppo di ragazzi, forse di Cesena, che da sotto all’impalcatura dove operava Paz, cominciò a chiamarlo tributandogli un’ovazione degna di un comandante; con loro riuscì, finalmente, a farsi qualche canna. Nella tarda serata ci fu un brutto episodio. Si era a cena al ristorante, Paz era sparito da tavola come ormai era solito fare, spesso; lo incontro dopo Rapi, nella piazza, che piagnucolava: aveva perso l’orologio che gli aveva regalato la sua ex Elisabetta, in un momento in cui era chiaramente caduto nell’abisso della disperazione pensando a lei. Poi si riprese e tornò a tavola per sparire di nuovo; io mi alzai per andare in bagno e lavarmi le mani e me lo incontrai chino sullo stesso piccolo lavandino. Aveva gli occhi rossi, come quelli di un aborigeno, mi fissò con l’espressione malvagia, e, come avrebbe fatto Zanardi con Petrilli, mi offese, senza alcun motivo: “mi fai schifo!” disse. Me ne andai senza rispondere e con le mani ancora bagnate. Senza più rivolgergli la parola lo incontrai più tardi in un piccolo bar da dove lui mi venne incontro sorridente, e abbracciandomi mi offrì una sangria. Si scusò e basta, senza alcuna particolare giustificazione. Fu quella l’ultima volta che lo vidi. L’anno seguente il corso “Zio Feininger” fu ripetuto; ma non era più il corso di Pazienza, che se ne era andato da Bologna, ma quello del gruppo “Valvoline” dal quale io fui escluso, forse per essere stato, fino a quel momento, troppo poco “avanguardista”!… (ma come? Non avevo ricevuto l’anno prima anche i complimenti di Igort e Mattotti?). Terminò, quell’anno 1985, la mia esperienza Bolognese, anche se di tanto in tanto, sempre comunque in buoni rapporti, incontravo Igort, che andavo a trovare assieme ai miei due amici di corso Rapi e Baldaz. Nel dicembre dello stesso anno, tornando in treno da Roma, dove andai con Rapi alla sede di Frigidaire (incontrammo uno Sparagna ormai in disarmo e alle prese con la missione “raccoglisoldi” Orda d’Oro, missione che avrebbe dovuto inutilmente salvare il giornale…) fui quasi convinto da lui a fermarci a Montepulciano a trovare Paz, che si era sposato e stabilito là… Ma poi ci ripensai, facendo, non poco, incazzare Rapi. Continuai a leggere le sue storie, fino all’ultima stupenda e incompiuta, del cane cartaginese Astarte che combatte contro gli spaventosi, enormi mastini romani, ed uscita sul numero di luglio 1988 di Comic Art. Paz, il grande Paz era morto il mese prima! Non ho più incontrato nella vita, un genio come lui, il più grande di tutti, come disse quel giorno Reggiani!

venerdì, agosto 04, 2006

Le origini - Part TWO

Dimenticavo: Fatti e personaggi sono frutto della fantasia dell’autore, ogni riferimento alle realtà è puramente casuale (non si sa mai…).

Barbara abitava molto vicino all’Aula Corsi e per comodità di tutti – e soprattutto del resp. Corsi ritardatario – aveva ricevuto le chiavi ed era stata delegata ad aprire e chiudere l’aula corsi, Mastro di Chiavi e Mastro di Porta (Ensamble).
Il giorno dopo 8.30, Vespa, sotto al portico, bloccasterzo, la trovo fuori - porta chiusa (?). “Ieri sera il Resp e Alfonso si sono trattenuti, si sono tenuti le chiavi e mi hanno mandato a casa…”.
Arrivano tutti, entriamo, corso, pausa caffè. Si ripassano in gruppi gli appunti, i MIEI. “Guarda qui!, Bello Questo!” ecc. ecc.... e poi CLICK “MA quel disegno di ieri, l’hai tolto?” “QUALE?” “Quello mega di Alfons…” CLICK “No, era qui, dopo questo, prima di quello…” Controllo, tra due pagine mi sorride la dentatura del blocco, senza pagina attaccata, anzi STACCATA!
Ma Dove… Ma come… Ma PERCHE’?
Il Resp. è affabile e simpatico, gli chiedo se PER CASO qualcuno ha rovistato sui tavoli la sera prima, “NO” non sa nulla NEGA NEGA NEGA!

Il corso prosegue, da quella sera BLOCCO a casa (quasi sempre credo).
Finisce il mese di corso, iniziano i due mesi di vero lavoro del PERIODO DI PROVA.
Ufficio Titoli. Alfonso è il Vice, sopra di lui il Responsabile, lo chiameremo MISTER Y, Trader degli anni ’80 simpatico Q.B., distaccato, disinteressato (riassumendo ARRIVATO). Due mesi di limbo, ricordo solo la mia prima esperienza con la mitica pinzatrice ZENITH 548: Pinzo, sbatto il retro, parte il caricatore centrale a molla, VOLA, VOLA, si infila tra muro e armadio in lamiera PESANTISSIMO: irrecuperabile! CLICK “Vado a fare delle fotocopie.”. Butto la Zenith monca e inservibile sotto quintali di carta da macero. Entro in un ufficio momentaneamente vuoto, una ZENITH 548 langue sul tavolo, la MIA nuova Zenith, Col DYMO (da quanto tempo non ne vedo uno…) scrivo ANDREA, lettere bianche su striscia nera adesiva. Non so se siete mai stati in un qualunque ufficio, provate a tenere il conto di quante volte avete sentito: “Qualcuno ha visto la mia Puntatrice?”. Io, dal 1982, lo sento ancora oggi.
Altro rapporto interessante quello con la LOGOS 364 OLIVETTI, ma ve la risparmio.
Due oggetti che ORA vedo, uno alla mia destra e uno alla mia sinistra, ORA, qui sulla scrivania.
Tornando a bomba, alla fine dei tre mesi era prevista la mitica PROVA MACCHINE, ovvero uso di Macchina da scrivere e calcolatrice. Passaggio “proforma” per il viatico del posto fisso.
Quella sera mi rendo conto di una cosa: IO NON DOVEVO PASSARE.
E non passai, esito negativo FIRED.
Nel frattempo ho ricostruito E SONO CERTO che mi è stato rubato un MIO DISEGNO. Quindi salutando Alfons l’ultimo giorno, a freddo, gli chiedo pacatamente se ALMENO mi può restituire il MIO DISEGNO. Nega, Nega, Nega!
So di scene apocalittiche avvenute in ufficio dopo la mia uscita. Terzo grado a tutti i colleghi IGNARI “Chi gliel’ha detto, del disegno?”. Non avevo mai parlato di quella cosa in ufficio.
Il mio problema è Il Disegno, non il licenziamento (a parte le ripercussioni famigliari).

Qualche giorno dopo passo a trovare DON, gli racconto la storia. DON mi conosce e mi stima, non capisce. DON è mooolto dentro alle cose. Dopo due giorni ci rivediamo, SUE parole “Anche tu, però, fare le caricature ai funzionari…” ARIDAJE, non era una caricatura (NON so fare caricature, non chiedetemi caricature, chiedetele a CARUBBI, LUI è BRAVO!). Il foglio del blocco (The original ONE ©®™ by Balda 82) è nel mio fascicolo in DG.
Quindi cerco il dialogo. Rifaccio il disegno (quello pubblicato in Part ONE), non a biro ma a china non sul blocco ma su Fabriano F4. Scrivo un letterina (a MACCHINA, avevo una portatile LITTON ROYAL) gentile e circostanziata al Dott. Cirri (più su di lui non c’era nessuno), allego per chiarezza fotocopia del disegno e spedisco per posta.

E qui iniziano le sfighe.
CLICK - Cirri muore dopo due giorni (amo pensare che non abbia avuto la possibilità di leggere la mia).
CLICK - MISTER Y viene beccato a fare PESANTEMENTE gli affari suoi coi soldi degli altri, naturalmente nessun chiasso, si licenzia lui e apre una redditizia attività in proprio.
CLICK - La leggenda parla di ALFONS beccato in ascensore con la segretaria (Hi & Bye EN PLEN AIR).
CLICK - Al resp. dei corsi, qualche anno dopo, mentre pulisce la SUA pistola, gli parte un colpo (come a me con la ZENITH) e centra sua moglie (cosi riporta il Resto del Carlino). Il mistero della camera chiusa.
E io? Beh, dovendo fare il ragioniere e prendere come al solito “due piccioni con un fava” cerco un nuovo lavoro. Nel frattempo affino la mia vena artistica, mi informo. E quindi vado a fare il ragioniere in Piazza San Domenico, a due dico DUE passi da via del Cane: esco dall’ufficio e mi iscrivo alla Nuova Eloisa. Dentro ci trovo IGORT e BALDAZZINI.

Ancora un saluto a Barbara, che si licenziò di sua volontà, ed a cui devo ancora restituire THE WALL dei Pink Floyd (lo conservo comunque con cura...). Un grazie per la scatola di pennarelli che dovevano servire a colorare i miei sogni che però erano e rimangono in BIANCO E NERO.

CLICK adesso vado in Florida con Cristina, nel Frattempo ci attende Hurricane Chris previsto a MIAMI per Domenica. PS noi arriviamo nel pomeriggio.
IO NON CREDO NEL CASO